martedì 23 marzo 2010

PUBBLICITA' OCCULTA di ANDREA COFFAMI

Io lavoro per una casa editrice. Mi chiamo Giovanni ed ho i peli sulla schiena. Il mio lavoro è un partime dal lunedì al giovedì, dalle 7 del mattino alle 10 e dalle 12 alle 14. Nelle due ore di buco non passo fare nulla di che, ma sono libero e mi godo la mia libertà. Di solito mi appoggio in libreria e mi leggo i romanzi a puntate. Dico a puntate perché mi leggo ogni giorno una ventina di pagine dello stesso libro. Entro alla Feltrinelli, mi sorseggio un the e mi sfoglio le pagine di qualche classico, tutti libri che poi non compro, tanto stanno lì, come se fosse una mia libreria personale, meli leggo pian piano ma senza acquistare mai nulla, li considero miei. Il mio lavoro consiste nel prendere la metro, arrivare al capolinea, uscire dal vagone, prendere la stessa metro ma in direzione opposta, arrivare all'altro capolinea, cambiare linea metro ed arrivare al capolinea della seconda linea metro, uscire dal vagone e ritornare indietro. Così ogni giorno dalle 7 alle 10 e dalle 12 alle 14. Naturalmente non devo fare solo questo, io lavoro per una casa editrice, una di quelle “famose” di quelle che “vendono”, di quelle che hanno autori che vanno in tivvù, quindi, una volta in metro mi devo ricordare di tenere bene in evidenza il libro che sto leggendo, solitamente mi affidano le nuove uscite. È pubblicità subliminale. Devo essere come un attore: devo saper piangere se il libro è drammatico, devo ridere fino alle lacrime se il libro è comico, devo spaventarmi ed ogni tanto chiudere il volume (come se fosse posseduto dal demonio) nel caso si tratti di un romanzo horror, devo mettere in evidenza la mia erezione se sto leggendo un libro erotico, devo iniziare a parlare di luoghi comuni e malcostume italiano con il malcapitato vicino, se sto leggendo un saggio politico di qualche giornalista televisivo. È un lavoro semplice e redditizio che mi permette di vivere decentemente. Siamo parecchi a fare questo lavoro, solo nella mia casa editrice ne siamo una decina. Quindi: quando vedrete un ragazzo che nella metro è immerso in qualche lettura e sembra pure soddisfatto di quello legge, pensate pure tranquillamente che si tratti di un pubblicitario.

giovedì 25 febbraio 2010

La piccola amica

di Aldo Ardetti

Mi dava ‘zampuffetti’ sulla mano penzolante. All’improvviso è scattata per sparire in fondo al corridoio per poi riapparire, con circospezione, per annusare il suo territorio, il suo mondo che preferisce avere sotto controllo.
Prende a unghiate il tappeto. Mi chiedo se in questa casa s'aggirino fantasmi. Questa casa non è solo la mia casa.
Sono abituato a questi suoi comportamenti e altri rituali.
Avvertii una strana sensazione nella casa silenziosa. Provai a lanciare richiami. Feci il tour che toccava i luoghi preferiti iniziando dal nostro letto, i tappetini, le sparse sedie, l'angolo refettorio. Nulla.
Nella testa cominciarono ad accumularsi ipotesi: ha approfittato di un momento in cui era aperto il portoncino d'ingresso? Era già successo quando si era avventurata su per le scale con conseguente perdita dell'orientamento. Dal balcone si era lanciata dietro un uccello che passava? Avevo sentito dire che anche questo può accadere. Avvertivo tutta la responsabilità fino a sentirmi male. Acceleravo il ritmo dei passi da un capo all'altro della casa. Ormai davo per scontato che fosse accaduto qualcosa di irreparabile.
La camicia, cambiata poco prima, s'era chiazzata di sudore. Me ne liberai nel bagno per rinfrescarmi pensando di placare anche l'agitazione che si era impadronita del corpo e dello spirito. Andai ad aprire l'armadio per scegliere un'altra camicia.
"Miao" fu un richiamo dal fondo.
Provavo rabbia e felicità. La colpa era tutta mia: io l'avevo rinchiusa nell'armadio, io le avevo chiuso le ante davanti al musetto, alla sua curiosità.
“Minuuù!”
La presi in braccio e la coccolai tra tante parole.
"Miao”
Ebbi la sensazione che fosse un rimprovero.
Affondai le dita nella pelliccia folta e morbida. E la baciai.

lunedì 22 febbraio 2010

Muschio e canzoni

di Aldo Ardetti
Arrivò il sospirato diploma e la voglia di una vacanza, di andare all’avventura dopo le letture beat sulle panchine della piazza. Sì, ma il money? Non ti preoccupare aveva detto Mario, rassicurandomi. E così riempimmo gli zaini rimediati a Porta Portese e, sul Raccordo anulare di Roma, iniziò il nostro on the road.
In Toscana ci sfamammo con la frutta dei campi, soprattutto con le more dei gelsi. Non udimmo abbai o colpi di doppiette.
Riuscimmo a raggiungere il confine con l’Austria. Al Brennero attraversammo il confine in treno fino a Innsbruck dove, per curiosità, avrei controllato le piastrelle rosse della stazione ferroviaria descritte in un famoso romanzo. C’erano ancora quelle.
Alle mie spalle sentii fischiettare ’O sole mio ma la persona, dall’aria paesana, decise di non darmi ascolto. Abbandonai l’impresa deluso. Mi sentii tradito.
Lo stomaco iniziava a lamentarsi e anche la vescica. Chiedemmo del bagno in un negozio che vendeva kartoffeln ma ricevemmo un nein e uno sguardo inceneritore: italienisch. Allora decisi di risolvere il problema in maniera semplice e sbrigativa. Mi guardai intorno e, scrutato il mercato coperto, mi diressi verso un angolo che assicurava riparo.
L’autostop per München non funzionò e – capita l’antifona – battemmo in ritirata, tornammo in patria. Ci fermammo in un campeggio di Firenze, lungo la salita che porta a Piazzale Michelangelo, dove fummo accolti da Azzurro cantata da Celentano. Il juke-boxe suonava quel disco a ripetizione. Gli ospiti – soprattutto gli stranieri – non ne potevano più.
A Innsbruck, qualche mese più tardi – in un angolo del mercato coperto – ci sarebbe stata la raccolta di vero muschio per il presepe del vicino Natale.
“Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me…” cominciai a cantare insieme alla figlia di un militare americano della Nato di stanza in Germania.

sabato 20 febbraio 2010

IL VALORE DEL DENARO di BdM

Qualche anno fa, per uno strano intreccio di destini e di caselle postali mi è arrivato un numero di una rivista per manager rampanti ed io l'ho messa nell’apposito raccoglitore, vicino il wc (stile Toilet di Fdg).
Sfogliandolo durante una seduta, trovai la classifica dei top-manager che avevano guadagnato di più nell'anno precedente con tanto di piccola foto. Il primo, con una faccia paffuta, quasi inoffensiva, manager della società monopolista delle linee telefoniche, di cui non faccio il nome per pubblicità, aveva incassato 118 miliardi di lire in un anno, distanziando notevolmente il secondo che arrivava a 70 ed il terzo 30. Per non parlare dei poveracci del gruppone intorno ai 20.
Pigramente concentrato nelle mie attività, dapprima mi misi ad immaginare cosa fare con tutti quei soldi.
Poi un dubbio: ma quanti sono 118.000.000.000 cioè 118 miliardi di lire? Che vuol dire quella somma? Ho provato il conto della serva.
Un operaio guadagna 2 milioni al mese circa (era il 1998 mi pare), e in un anno riceve 25 milioni circa per 35 anni lavorativi, totale 875 milioni. Consideriamo incentivi, premi produzioni, un 12 al totocalcio, insomma, arrotondiamo ad 1 miliardo.
Questo vuol dire che quel tipo, con la faccia un po' paffuta che vedevo nella foto accanto alla classifica sulla rivista dei manager rampanti, in un anno aveva messo in tasca quanto 118 cristiani guadagnano in una vita di lavoro!
Mettiamo che i 118 siano 59 coppie, marito e moglie. Quindi 59 volte una vita di lavoro di una moglie e di un marito, 35 anni spesso di sacrifici a fare i conti con la spesa, il mutuo, le tasse, la scuola per i figli, le tensioni, lo stress, le malattie, le incomprensioni, speranze illusioni, rabbie, paure e cavoli vari.
Mi girava la testa, per fortuna stavo seduto.
Comunque neanche quella volta ho capito il valore del denaro, ma da allora ho incominciato a guardare in modo molto diverso quelle facce paffute sulle piccole foto delle riviste dei manager rampanti. E mi inquietano.

venerdì 19 febbraio 2010

Il Binocolo


Il Binocolo

Togliere il binocolo dalla custodia
e seguire attentamente le istruzioni.

1. Regolare la distanza fra gli
occhi. Consigliamo di usare il polpastrello
della mano destra.
Togliere i coperchi, operazione indispensabile,
e regolare il binocolo con entrambe le mani
muovendo l’unità lentamente.
Effettuare la regolazione guardando
attraverso il binocolo fino a quando il
campo visivo diventa un unico cerchio.

2. Portare il soggetto a fuoco,
consigliamo la prima cosa che vedete davanti,
che non sia troppo vicina, però,
altrimenti il binocolo non serve.
Guardando attraverso il binocolo con
entrambi gli occhi, girare la rotella per la
messa a fuoco fino ad ottenere la
messa a fuoco ottimale del soggetto.

3. Decidere prima cosa si vuole vedere:
un paesaggio, un animale, una donna, un affare allettante,
la scelta è varia, è questione di gusto personale
e usare l'oculare sinistro per mettere a fuoco.
Girare la rotella per la messa a fuoco guardando
con l'occhio sinistro attraverso l'oculare sinistro e
mettere a fuoco fino a vedere chiaramente il
soggetto desiderato. Naturalmente la stessa operazione
la potete eseguire con l'occhio destro, se siete orbi del sinistro.
Girare il comando di regolazione diottrica
guardando con l'occhio destro attraverso
l'oculare destro, fino a che lo stesso
soggetto non sia a fuoco.

Una volta terminata l'operazione della messa a fuoco,
godere tranquillamente del soggetto avvistato.
Non c'è limite di tempo, luce permettendo.
Allungare il binocolo alla persona al vostro
fianco, questa dovrà ripetere l'operazione partendo dal punto 1.
Passare le istruzioni.

Avvertenze particolari:se il binocolo dovesse cadere, raccogliere i resti,
buttare nella spazzatura e acquistare nuovamente.
Per una corretta conservazione:
dopo l'uso, riporre l'oggetto nella sua custodia originale.


Angelo nero

- Ieri mi è morto un bimbo di sei mesi tra le braccia…
Mi giro verso la ragazza sconosciuta affianco a me. Stiamo entrambe fumando appoggiate ad un parapetto di cemento.
-Si, sai, così piccolo non mi era mai capitato.
- Ma, com'è successo?
-Stava giocando con il padre, all'improvviso ha cominciato a vomitare, è diventato bianco e si è fermato il cuore.
Il fumo delle sigarette fa degli strani disegni nell'aria tersa del mattino.
- Ma stava già male?
- Aveva avuto un intervento al cuore appena nato, ma era andato tutto bene dopo.
- Uno si augura di non vivere mai queste cose!
Mi vergogno subito dell’ orrendo luogo comune.
- Quando ti succedono queste cose, te le porti dentro per un bel po', finché respiri, credo.
- Ma sei un medico?
- No un'infermiera, lavoro a Tor Vergata, reparto Terapia Intensiva
- Ah, capisco, ne vedrai di tutte i colori?!
- Già, ma non questa.
Dovrei tagliarmela questa lingua!
- Scusami lo sfogo, è stata una nottataccia, ma tu che ci fai qui sopra alle cinque del mattino?
- Sono insonne, per non mettermi a guardare la tele, o a stirare, vengo quassù e ammiro il panorama.
- E tu?
- Ho fatto la notte, stavo rientrando a casa, abito al terzo piano.
- Io all'ultimo e non ci siamo mai incontrate!
- Hai una bella vista anche da lì?
Per la prima volta mi sorride.
- Si, ma da casa non è la stessa cosa e poi rischio di svegliare i bambini!
- Sei sposata, hai figli?
Comincio a sentire un po' di freddo.
- Si…il bambino morto stanotte era mio figlio.-
Il freddo è totale.
- Io scendo un attimo a prendere un plaid...
- Va bene.
M'incammino verso la porta del lucernaio poi mi volto.
-Ne vuoi uno pure te?
Guardo attorno, sparita. Fisso la balaustra di cemento.
-Senti molto freddo anche tu…

giovedì 18 febbraio 2010

Wireless

Si connette anche oggi, è una presenza rassicurante, appare in basso di lato nel video del portatile.
La finestrella lo annuncia: “pc-carlo - vuoi connetterti?”.
Lo ignoro come sempre. Come quel giorno che l’ho scoperto intrufolarsi tra i file del mio computer. Predilige la corrispondenza e-mail, gli piace partecipare così alla mia vita.
L’ho scoperto per caso: ero in chat con una ragazza che frequentavo. Ero completamente rincoglionito, la conoscevo da pochi giorni e per me tutto quello che diceva era la cosa più importante del mondo. Aveva appena scritto qualcosa scatenandomi dentro un momento di tenerezza. Digitai con la tastiera alcune parole zuccherine che sparirono nel momento in cui stavo per schiacciare invio. All’inizio non ci feci caso, pensavo ad un errore di connessione, al decimo tentativo mi accorsi della freccina del mouse che si muoveva veloce ed io non avevo impugnato il mouse. Pestavo sulla tastiera nel tentativo di fissare quelle parole importantissime, ma continuavano a sparire. Ingaggiai una sfida di velocità. Non riuscivo a dire alla donzella che l’avrei accompagnata volentieri alla festa dell’amica. Diventò in breve una questione di principio, mi sentivo un cavaliere medioevale impegnato in un torneo di destrezza. Io avanzavo indomito e quello con un colpo mi rispediva al punto di partenza. Andammo avanti così per una mezz’ora credo. Il tempo era divenuto un fattore secondario. Dovevo inviare il mio prezioso messaggio, rassicurare la ragazza e scatenarmi in tutta una serie di gesti inconsulti che mi avrebbero scaricato.
Lui continuava ad essere più veloce. Io scrivevo ed inviavo. Lui più veloce. Io scrivevo ed inviavo. Lui più veloce.
Oggi forse riuscirò vincitore. Di quella ragazza, non ricordo più il nome.
Sarebbe stato meglio telefonarle.